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“Responsabilità, serietà, e un po’ di cecità sognante, di questo abbiamo bisogno oggi”

11 Apr

Diamo diffusione della lettera, pubblicata da Solferino28, di Claudio Speranzetti, dottorando di Antropologia all’Università di Harvard Stati Uniti. Racconta di chi, partito dall’Italia e frustrato della presente situazione italiana, vorrebbe tornare e dare seguito a quel senso di responsabilità che deve essere della nostra generazione.

Salve Professoressa,

Sono a Boston in questo momento. Mi spiace sentirla cosi scoraggiata con l’università italiana ma purtroppo ultimamente sto condividendo la sua sensazione. Ma andiamo per ordine.

Volevo scriverle per darle alcune buone notizie. Sto finendo la mia tesi e allo stesso tempo facendo domanda di post-doc e di posizioni accademiche. Questa ricerca sta dando risultati molto al di sopra delle mie aspettative. Ho vinto un post-doc a Singapore su città asiatiche e sono tra i finalisti sia per il post-doc a Oxford All Souls che a Cambridge Saint John college. La settimana prossima sarò a San Francisco per il convegno della associazione antropologica americana e avro’ interviste per tre posizioni come professore a Carleton College, Georgetown University e Princeton! Oltre a questo mi è stato consegnato il premio per migliore saggio di antropologia urbana del 2012!

Tutto per il verso giusto, queste notizie sembrerebbero dire. E invece non posso mettere a tacere il sentimento di rabbia nei confronti del sistema italiano. Come è possibile che nel mio paese di origine, in cui vorrei tornare e che francamente non vanta lo stesso prestigio accademico degli Stati Uniti, rimango senza alcuna minima possibilità di entrare in università mentre qui mi invitano per interviste nelle migliori universita’ e offrono post-doc da sogno, ben retribuiti e con larghe possibilità di crescita. Che io venga selezionato o no per questi lavori è ininfluente, ma la sola possibilità di essere valutato sembra una chimera in Italia. Ultimamente è come se ogni successo mi rendesse piu rabbioso e forse più motivato a cercare una via di ritorno in Italia. Sono veramente esausto di fare tutto con la massima dedizione e buoni risultati e non vedere nessun effetto in quella direzione ma allo stesso tempo sempre piu convinto che non è una vita in America quello che voglio. A questo oramai mi sento condannato da un paese che non solo non sfrutta e sviluppa i propri talenti ma persino disdegna quelli formati con fondi, risorse, e dedizione da altri paesi. E’ frustrante e francamente triste.

Questi sentimenti aumentano quando leggo le parole di una accademica come lei, che ha posto dedizione, tempo, e, perché no, amore nella università e si trova incastrata in una macchina burocratica, volta a valutare e quantificare tutto ma senza costruire nulla. Un sistema che sembra uscito da un racconto di Brecht, un essere schizzofrenico che conta i numeri di colpi di accetta mentre fa a pezzi il ramo su cui siede, congratulandosi con se stesso dell’efficenza che sta ottenendo.

Mi spiace di buttar sopra altra frustrazione a quella che già traspare dalle sue parole, ma questo vivo. Rimane, però, una speranza. Gli ultimi tre mesi passati in Italia me l’hanno fatta rinascere e coltivare come un fiore debole in mezzo all’inverno. Si sta alzando una nuova onda, un’onda locale, ancora troppo piccola per essere visibile a livello del mare ma che sta spostando molti di noi. Un’onda di ritorni, di giovani che rispondono ai chiari e inequivocabili messaggi che ci dicono di andarcene e non tornare indietro con una testarda dedizione, con una voglia di non accettare il sistema Italia come è ma di mallearlo e dargli forma con le nostre mani, che questo necessiti pugni o che necessiti accurate carezze. Questa e’ la nostra sfida, e non piu’ quella della vostra generazione. Una sfida i cui risultati non possiamo imputare alla politica, alla generazione precedente, al debito pubblico, o agli sprechi. La vera enorme sfida di noi 30enni oggi in Italia, una sfida che, se fallimentare, saremo stati noi a perdere e, se di successo, saremo stati noi a vincere. E’ il nostro tempo e non voglio viverlo a distanza, non voglio dover sentire tra 20 anni che il sistema Italia mi e ci ha tolto persino la possibilità di giocarmela. Responsabilità, serietà, e un po di ciecità sognante, di questo abbiamo bisogno oggi.

Tutto questo per farla un po’ partecipe delle mie riflessioni ora, magari la via sarà un po’ tortuosa ma tornerò e torneremo e non pensi che quello che lei e persone come lei hanno fatto per tutti noi e per la nostra generazione è stato o sarà dimenticato, cosi come non sarà dimenticato l’operato di chi questo sistema l’ha creato e ne ha tratto profitto. Sotto il deserto del reale dell’ Italia di oggi stanno crescendo delle piantine, per alcuni saranno fiori e per altri piante carnivore. So che non è facile vederle, ma provi a crederci e abbia un po di fiducia nella nostra generazione.

Link: http://solferino28.corriere.it/2013/04/11/io-dottorando-ad-harvard-che-vorrebbe-tornare-in-italia-ma-non-riesco/

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