Un progetto di sviluppo è un po’ un’isola magica, un’utopia, dove tutto funziona come dovrebbe, dove tutto è perfetto.
Scrivere un progetto è relativamente semplice e lineare: si individuano i problemi, si decide la strategia per risolverli, si ipotizzano delle condizioni avverse e si pianifica in anticipo come mitigarle.
Vivere un progetto è invece un’esperienza spesso frustrante, difficile e complessa; ci si scontra con problemi non previsti, si devono fare i conti con autorità in competizione tra loro e spesso ai limiti della legalità, le tempistiche saltano, i materiali non si trovano, le necessità possono essere cambiate rispetto al momento di stesura del progetto, la burocrazia è opprimente.
E poi ci sono loro, i BENEFICIARI- le persone alle quali il nostro progetto si rivolge- sospettosi e antagonisti. Lavorare con loro è stimolante ma duro. Sembra che non capiscano il fine del progetto né il nostro ruolo; temono di essere ingannati per l’ennesima volta, presi in giro dagli stranieri o, peggio, usati. I beneficiari sono infatti il nostro gruppo target, ma il gruppo in un certo senso, non esiste. E’ composto da singole unità; non pensa o agisce come un corpo unico. Gli antagonismi e le rivalità vengono fuori nei momenti meno opportuni, rallentando la “macchina-progetto” e mettendo a rischio il completamento delle fasi. Bisogna allora improvvisarsi psicologi, mediatori, sociologi; la pazienza è messa a dura prova ma non possono essere lasciate trapelare simpatie o antipatie individuali. Per resistere alla pressione e alla tensione è importante credere nel progetto e nella sua capacità di generare cambiamenti positivi.
I beneficiari sono poveri, talvolta analfabeti, con situazioni familiari difficili; ma sono soprattutto persone. A volte ti stupiscono per la loro capacità di analizzare criticamente la realtà che li circonda, offrono spunti di riflessione interessanti, propongono soluzioni alle quali non avresti mai pensato; altre volte ti lasciano perplesso per il loro comportamento infantile e a tratti ostile. Per poter capire il loro atteggiamento bisogna conoscere la storia del Paese, della comunità e anche le vicende personali di ciascuno di loro. Forse proprio riuscire a creare il gruppo potrebbe essere il più grande risultato del progetto. Sarebbe bello poter avere a disposizione più tempo, più fondi, più energie, ma tutte queste cose sono limitate e ci si rende conto che la nostra utopia di perfezione è destinata a rimanere tale. Si deve scendere a compromessi, si devono fare delle scelte. Ma non da soli: la partecipazione è tutto.
Non ero preparata a tanta complessità, né a tanta opposizione: i manuali non ti insegnano nulla in merito. Certe volte verrebbe voglia di gettare la spugna, ma non si può. Non possiamo deluderli anche noi.
Simona 31, El Salvador
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