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Dietro la Porta di un Giovane Cooperante

9 Apr

DSCF0307 (1)Il biglietto aereo ingiallisce ogni giorno di più e il ritorno è sempre più lontano… dal mio arrivo.

Rieccola. Di nuovo la sensazione di dover far qualcosa, di nuovo quello strano stato d’animo, come se il mondo smettesse di girare e fossimo noi a dover alimentare la sua spinta.

Non è così, è solo che non c’è un progetto, un lavoro  o forse un giorno sembra esserci, poi diventa incerto, improbabile, sospeso, bisogna aspettare. Bisogna essere flessibili dopotutto, ci dobbiamo saper adattare, trovare le posizioni giuste.

Una riunione, un’altra, poi penso che tutto stia per succedere. No, dobbiamo vedere come andranno certe cose:  il rientro dall’estero di qualcuno, l’uscita di un bando o l’arrivo di alcuni finanziamenti.

Si procede ancora a vista, così va avanti anche la mia vita, con le mani avanti… ad attutire il colpo. Mi devo guardare intorno, aprire altre porte, sapere che questo potrebbe non essere il mio lavoro, impegnarmi per ottenerlo ed imparare a fare altro per evitare il peggio.

Non voglio continuare a vedere la mia vita dallo spioncino.

Luca, 27 anni, Roma

La Nascita del Progetto

29 Mar

Vogliamo un progetto!

Ok…

Ma lo scrivi tu?

Si…

Ma scusa, non sei qua per fare la cena?

No veramente sono quella con cui dovete fare l’albero dei problemi se volete che da questo albero nasca qualcosa…..

E via con l’idillio dell’amore tra la stagista inesperta e il gruppo dei “beneficiari”. Essere giovani e donne complica un po’ le cose, la tua credibilità sta più in fondo del fondo del lago che ti sta di fronte, riuscire a farsi ascoltare richiede uno spiegamento di energie che non ho impiegato neanche per scalare il vulcano che ugualmente mi sta di fronte insieme al lago. Ci si incontra, mostri impegno e dedizione e, nonostante conoscano perfettamente la tua faccia, continuano a guardarsi tra loro ogni volta che riappaio come a dire: ma è una ragazza!

Capirli è impossibile, la lingua ci separa ma l’empatia ci avvicina.

Passi i giorni a pensare che cosa fargli fare, obiettivo, risultati, attività….maledetto quadro logico!

Forse c’è una possibilità di finanziamento ma dobbiamo mandare una mail….

Si presentano in 30, perché il gruppo è compatto, o tutti o nessuno, e stanno lì affacciati davanti al tuo pc a guardare questa cosa meravigliosa che è un documento word e lo devi trovare veramente interessante specie se non sai leggere, ma partecipare è tutto, la presenza fisica conta, è un modo per dire mi interesso.

Finalmente si consegna perché il tempo è scaduto, gli metti in mano la bozza alla quale loro devono apportare i commenti e le dovute revisioni, perché le cose si fanno insieme, e parte l’ennesimo discorso in una strana lingua e tu con mille pensieri al secondo: ecco anche questa volta si sono arrabbiati.

La traduzione in simultanea in realtà dice: grazie per la delicatezza avuta con noi nel curare questa relazione e averci accompagnato in questo percorso.

No no…grazie a voi!!

Maria Paola, 29 anni, Guatemala

Cos’è un Progetto

17 Gen

Un progetto di sviluppo è un po’ un’isola magica, un’utopia, dove tutto funziona come dovrebbe, dove tutto è perfetto.

Scrivere un progetto è relativamente semplice e lineare: si individuano i problemi, si decide la strategia per risolverli, si ipotizzano delle condizioni avverse e si pianifica in anticipo come mitigarle.

Vivere un progetto è invece un’esperienza spesso frustrante, difficile e complessa; ci si scontra con problemi non previsti, si devono fare i conti con autorità in competizione tra loro e spesso ai limiti della legalità, le tempistiche saltano, i materiali non si trovano, le necessità possono essere cambiate rispetto al momento di stesura del progetto, la burocrazia è opprimente.

E poi ci sono loro, i BENEFICIARI- le persone alle quali il nostro progetto si rivolge- sospettosi e antagonisti. Lavorare con loro è stimolante ma duro. Sembra che non capiscano il fine del progetto né il nostro ruolo; temono di essere ingannati per l’ennesima volta, presi in giro dagli stranieri o, peggio, usati.  I beneficiari sono infatti il nostro gruppo target, ma il gruppo in un certo senso, non esiste. E’ composto da singole unità; non pensa o agisce come un corpo unico. Gli antagonismi e le rivalità vengono fuori nei momenti meno opportuni, rallentando la “macchina-progetto” e mettendo a rischio il completamento delle fasi. Bisogna allora improvvisarsi psicologi, mediatori, sociologi; la pazienza è messa a dura prova ma non possono essere lasciate trapelare simpatie o antipatie individuali. Per resistere alla pressione e alla tensione è importante credere nel progetto e nella sua capacità di generare cambiamenti positivi.

I beneficiari sono poveri, talvolta analfabeti, con situazioni familiari difficili; ma sono soprattutto persone. A volte ti stupiscono per la loro capacità di analizzare criticamente la realtà che li circonda, offrono spunti di riflessione interessanti, propongono soluzioni alle quali non avresti mai pensato; altre volte ti lasciano perplesso per il loro comportamento infantile e a tratti ostile. Per poter capire il loro atteggiamento bisogna conoscere la storia del Paese, della comunità e anche le vicende personali di ciascuno di loro.  Forse proprio riuscire a creare il gruppo potrebbe essere il più grande risultato del progetto. Sarebbe bello poter avere a disposizione più tempo, più fondi, più energie, ma tutte queste cose sono limitate e ci si rende conto che la nostra utopia di perfezione è destinata a rimanere tale. Si deve scendere a compromessi, si devono fare delle scelte. Ma non da soli: la partecipazione è tutto.

Non ero preparata a tanta complessità, né a tanta opposizione: i manuali non ti insegnano nulla in merito. Certe volte verrebbe voglia di gettare la spugna, ma non si può. Non possiamo deluderli anche noi.

Simona 31, El Salvador

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